Lo sviluppo della PNEI è complesso e articolato, ma anche estremamente affascinante, soprattutto se saprà tenere in giusto conto i diversi gradi di conoscenza a cui le varie discipline sono arrivate. Se ciò non avverrà il rischio è inevitabilmente una polarizzazione su uno sviluppo biologistico (il corpo-cervello, la materia, spiega tutti i fenomeni mentali) o psichistico (l'io, la mente, spiega tutta la realtà nella sua totalità).
Il primo paradigma, quello biologista, si riassume nella posizione di Thomas Henry Huxley (1825-1895), famoso biologo inglese, amico di Charles Darwin (1809-1882). Per Huxley la mente e il cervello stanno tra loro come il fischio del treno e la locomotiva; la mente non è altro che epifenomeno di processi organici che hanno sede nel cervello. Tale posizione è stata capillarmente divulgata e sostenuta dalle correnti filosofiche positiviste. Questo ha fatto sì che tale impostazione sia stata anche storicamente alla base di discipline con forte considerazione dei fattori mentali, prime fra tutte la psicanalisi. Alfred Ernest Jones (1879-1958), neurologo e psicanalista britannico, affermava "io non credo che la mente esista davvero come entità, un'affermazione forse sorprendente in bocca ad uno psicologo. Quando parliamo dell'influenza della mente sul corpo o di quella del corpo sulla mente, non facciamo che abbreviare e semplificare per comodità una frase più complessa".
La complessità è sicuramente presente; tuttavia, anche in poche righe, è possibile asserire che un fattore "mente", inteso come forma essenziale dell'essere vivente, capace di influire sul corpo in maniera diretta esiste ed è reale. La mente così definita ci riporta al concetto aristotelico di anima, su cui torneremo. Qui ci basta precisare che affinchè qualcosa agisca su qualcos'altro (in questo caso la mente sul corpo) è necessaria l'esistenza individuale dei due fattori. Il fischio del treno, riprendendo la metafora precedente, è semplice prodotto della locomotiva e non può nulla su di essa; se la mente fosse un semplice prodotto del corpo non potrebbe agire a modificare il corpo stesso direttamente.
Dall'altro lato è presente il rischio di operare una sintesi riduttiva basata sull'esaltazione della mente, dei fattori psicologici. Soprattutto oggi, con un'evoluzione tecnologica in rapido accrescimento e una notevole enfatizzazione del progresso scientifico, si rischia di incappare in forti delusioni quando ci sentiamo dire che il nostro problema di salute non può essere curato. Il pensiero di ricorrere a tutto pur di risolvere un dato problema è di per sè umano.
La medicina olistica, in cui spesso viene inquadrata anche la PNEI, cerca di venire incontro ai disturbi dei pazienti considerando anche i bisogni spirituali della persona, oltre che ad aprirsi ad aree di cura cosidette non convenzionali (omeopatia, omotossicologia, agopuntura, osteopatia, riflessologia, ecc... ma anche yoga, aromaterapia, cristalloterapia, dietoterapie specifiche, meditazione di vari orientamenti, ecc...). Se tutto ciò non ha nulla da eccepire in un rapporto di care giving tra un curante e un paziente, pone certamente grossi problemi nel campo dell'epistemologia scientifica. Quando parliamo di chakra, flussi energetici, corpo fisico e corpo sottile, meridiani, chi, yinyang, shen e molti altri concetti derivati dalle tradizioni orientali ci addentriamo in una serie di sistemi filosofici decisamente complessi, paragonabili alle tradizioni filosofiche e religiose occidentali. Cercare di estrapolare alcune pratiche a fini di ricerca per la salute individuale sarebbe come studiare l'efficacia della recita del rosario su un campione di pazienti; ciò implica però già in partenza delle differenze tra i pazienti che ci credono davvero e quelli che non ci credono. Molti di tali studi comunque sono già stati condotti, con esiti discordanti, come viene descritto nelle opere di Harold G. Koenig (1951-vivente), fra cui The link between Religion and Health - Psychoneuroimmunology and the Faith Factor, Oxford University Press, 2002.
Altro elemento problematico delle tradizioni religiose, sia occidentali che orientali, nel campo applicativo scientifico consiste nel fatto che le pratiche ad esse connesse possono sì tendere a riportare l'individuo in un rapporto di armonia con se stesso, con Dio e con la natura, ma non è detto che tale armonia coincida con il benessere così come lo intendiamo comunemente (salute, vigore, produttività, bellezza, elevate prestazioni psico-fisiche, ecc...). Anzi, tali pratiche, comprese quelle orientali buddhiste, induiste, jainiste, ma anche taoiste (cinesi) e shintoiste (giapponesi), sono caratterizzate da percorsi di liberazione dai vincoli materiali. L'eventuale salute, il benessere psico-fisico, non è l'obiettivo primario; l'obiettivo primario è il disinteresse per la salute o la malattia. Ciò apre ovviamente a straordinarie e ricchissime prospettive filosofico-teoretiche ma la conversione in tecniche applicabili alla ricerca scientifica pone i medesimi problemi delle pratiche ascetiche ebraico-cristiane, islamiche, ecc...